7 agosto 2012

LA RICHARD GINORI AI SUOI LAVORATORI!

Il 31 luglio la storica società di porcellane “Richard Ginori” ha chiuso. Una gravissima perdita non solo per il tessuto occupazionale e produttivo della provincia di Firenze ma anche per la storia della nostra città.
La società, fondata quasi tre secoli fa, infatti è un marchio storico legato al territorio ed è un simbolo dell’eccellenza produttiva toscana nel campo delle porcellane. Eppure tutto ciò non è bastato ad evitare che venisse spazzata via da una crisi tanto veloce quanto inspiegabile.
Veloce perché in pochi mesi si è passati da rosee prospettive di crescita alla messa in liquidazione dell’impresa, inspiegabile perché, nonostante la crisi mondiale, appena un anno fa l’azienda produceva a pieno ritmo grazie anche ad un accordo con una nota ed importante catena di super ed ipermercati che aveva indetto un concorso a punti mettendo in premio i prodotti della Richard Ginori. Addirittura nel marzo 2011 quindi appena diciassette mesi fa, era stato inaugurato il terzo forno chiuso da anni a dimostrazione di una situazione di ordini florida e piena di aspettative positive.
E invece, in meno di un anno, tutte le speranze, tutte le migliori previsioni sono state disattese. E’ stata scaricata la colpa sulle banche e sulla stretta creditizia, è stata data la colpa alla concorrenza estera che può utilizzare manodopera a bassissimo costo, ma a fronte di tanti discorsi e tante scuse l’unica certezza è che ci sono 70 milioni di debiti che hanno soffocato l’impresa e che l’hanno portata sull’orlo del fallimento.
Sarebbe auspicabile che gli organi preposti al controllo, a iniziare dal tribunale, acclarassero le eventuali responsabilità di amministratori e soci in questa rovinosa debacle imprenditoriale. Non vorremmo che la Richard Ginori fosse stata vittima di uno dei tanti rappresentanti di quella categoria di avventurieri che ormai affolla il mondo imprenditoriale italiano e che molptepilici danni ha prodotto al tessuto produttivo nazionale.
Ma in questa situazione disperata c’è da pensare anche, e soprattutto, a salvare il posto di lavoro dei 330 dipendenti, la loro altissima professionalità e il marchio secolare. Le soluzioni prospettate finora non sono confortanti: si va dalla peggiore, che è la chiusura definitiva, alla meno peggio che è quella di una società straniera che rilevi il marchio e che, nel giro di qualche anno, delocalizzerà interamente la produzione in paesi a basso costo di manodopera.
Ci sarebbe una terza soluzione, ardita ma praticabile e auspicabile, quella della gestione diretta dei dipendenti. Esistono già precedenti confortanti in Italia, come ad esempio le Fonderie Zen di Padova. Con l’aiuto delle istituzioni pubbliche locali, dei fornitori e del restante mondo imprenditoriale toscano la soluzione sarebbe percorribile, sebbene irta di ostacoli e incognite. Abbiamo escluso a priori le banche perché ormai è evidente che dopo aver provocato questa crisi globale ormai pensano soltanto a salvare se stesse con una politica del credito che non abbiamo problemi a definire criminale.
La scelta di affidare la gestione direttamente ai lavoratori, costituiti in società lucrativa o in cooperativa, è soltanto questione di coraggio e lungimiranza, doti tanto apprezzabili quanto scarse al giorno d’oggi. Qualcuno in questa vicenda dimostrerà di possederle?



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